Il sogno di Samira.
Nino Tropiano, il regista del film, imprime il sogno di Samira nella pellicola. Un documento prezioso che la segue per sette anni. Il desiderio di una giovane ragazza di Zanzibar di studiare per uscire da una “normalità” anormale, gestita dagli uomini. Nella cultura musulmana dell’isola le donne hanno pochissime possibilità di realizzarsi come individui. I maschi stabiliti per loro tutti i “vantaggi”, tra gli altri quello di avere più mogli, sono i padroni.
Samira però è forte, il suo viso ipnotico. Viaggia su più frequenze interiori e vuole fare il salto in una dimensione culturalmente elevata. Il suo sogno è insegnare, la sua missione aiutare i bambini di Zanzibar a emanciparsi attraverso la conoscenza.
Studiare significa essere liberi.
Straordinaria la scena dove alcune donne pescatrici di conchiglie immerse nel mare, vestite con colori bellissimi, sono osservate da un gruppo di turisti abbigliati all’occidentale, uno stridore assordante. Perso il fascino della natura, sono spettatori vuoti. Quei luoghi ancora conservano qualcosa di ancestrale, ma visitarli senza l’incanto interiore rende il percorso un fast food drogante, un guardare senza vedere.
In un dialogo con il regista Samira spiega come la popolazione di Zanzibar sia costretta ad accettare il turismo di massa per sopravvivere. Il paese è molto povero, in alcuni villaggi per avere l’acqua bisogna camminare un’ora. Hakuna matata. Dicono loro saggiamente, nessun problema.
La profondità dell’Africa, inaccessibile al villeggiante, nel film rapisce lo spettatore in un autentico viaggio.
Nino Tropiano ha realizzato un’opera importante, una rappresentazione di un patrimonio culturale di grande valore.
Il sogno di Samira
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